Perché i robot piacciono tanto? Perché stanno invadendo le nostre fantasie? Perché sono diventati protagonisti di film stellari, di doppie pagine sui giornali e persino di spot delle Poste? Perché cambieranno il nostro futuro dice qualcuno. La risposta è più semplice. Perché sono oggetti immaginifici, persino poetici, insomma sono fa-vo-lo-si, nel senso che sono personaggi da favola che rinverdiscono la nostra voglia di giocattoli. Eppure, anche se la tecnologia promette per loro sviluppi fantastici, nel mondo reale i robot continuano ad essere congegni inanimati, elettronici, meccanici o di plastica più o meno morbida. Stupidi, per giunta, perché per ora sanno fare ossessivamente solo quello che gli è stato insegnato.
Però hanno alle spalle un mare di immaginario. Un tempo si chiamavano automi ed erano già popolari ai tempi di Omero. Nell’Iliade il dio Vulcano era servito da ancelle metalliche, tutte d’oro. Lo stesso Vulcano aveva costruito per la mensa dell’Olimpo una serie di venti tripodi automatici, che servivano latte e miele altri cibi degli dei. Anche gli Argonauti avevano un cane meccanico che faceva la guardia alla nave. Funzionanti e non immaginari erano gli “automata” di Erone, costruiti nei laboratori nella mitica Biblioteca di Alessandria. Così pure gli incredibili orologi di Al-Jazari, che nella Aleppo di otto secoli fa oltre a indicare l’ora muovevano suonatori, draghi e persino elefanti. Fino alle creature del signor Vaucanson, inventore francese che dimostrò di poter costruire automi capaci di suonare, cantare e persino fare i loro bisogni come l’anatra meccanica che presentò alla corte del Re di Francia.
Li si incontra nelle Mille e una notte. Hanno forma di cavalli volanti, pavoni d’oro e trombe pensanti. Li troviamo come guerrieri meccanici nella Tavola rotonda. Tristano infine si fa costruire una copia androide di Isotta, così perfetta da sembrare viva. All’inizio dell’Ottocento Mary Shelley crea con il suo Frankenstein il primo meraviglioso uomo-patchwork della storia.
L’alba del 900 vede apparire il primo uomo meccanico co-protagonista di un romanzo per ragazzi: il Meraviglioso mondo di Oz.
Si tratta del taglialegna meccanico che ha un imbuto per cappello, immaginato da L. Frank Baum, e disegnato da W.W. Denslow. Diventerà un celebre film nel 1939.
Nel Novecento sempre più spesso fantasie e realtà si contendono la scena. Come quando Nikola Tesla, amico di Mark Twain e compagno di avventure di Houdini, presenta un automa intelligente che risponde con gesti sensati alle domande dei giornalisti. È scoop! In realtà è lo stesso Tesla che lo manovra da lontano con una delle sue straordinarie invenzioni: il telecomando. Nel 1921 con la messa in scena a Praga della commedia futurista: R.U.R. del ceco Karel Čapek nasce ufficialmente la parola robot. Robota in lingua ceca vuol dire” lavoratore” e nella commedia di Čapek i lavoratori artificiali si ribellano.
Ma è con la fantascienza degli Anni cinquanta e sessanta, con i racconti di Isaac Asimov, che i robot cominciano a solleticare l’immaginario dei lettori con modelli sempre più problematici e simili all’uomo. In questi anni i computer, che sono il cervello dei robot di oggi, sono ancora grandi come Tir. Ma Asimov salta a piè pari molti decenni di evoluzione elettronica e inventa la “positronica”, scienza immaginaria che consente appunto la costruzione di robot umanoidi sempre più intriganti, curiosi e impertinenti. Negli Anni settanta anche Gianni Rodari inventa una “novella scritta macchina” dove appare una bambola robot. Non si comporta come un giocattolo per bambine. Anzi ha il compito di far capire alla ragazzina alla quale è stata regalata che ha diritto alle pari opportunità: che può giocare e vivere come i suoi coetanei maschi. Per convincere Enrica a scendere in cortile con altri bambini si strappa ciocche di capelli e dichiara: “…voglio una grancassa, voglio un prato, un bosco, una montagna e il monopattino. Voglio fare la scienziata atomica, il ferroviere e la pediatra. Anche l’idraulico. E se avrò una figlia la manderò in capeggio…”
Pensandoci bene anche Pinocchio ha un comportamento simile. Non vuole più essere un burattino, un pezzo di legno. “Oh, sono stufo di far sempre il burattino!” Pinocchio è tutt’altro che un robot. Anzi fin dall’inizio fa quello che gli pare. Come fanno i robot che ci propone la letteratura e la fantascienza. È il lato che più ci affascina e allo stesso tempo più ci spaventa delle macchine intelligenti. Che in futuro diventino come noi, meglio di noi, più simpatiche di noi.
Pubblicato su Andersen.it/marzo-2017-n-340/
La citazione:
So io cosa ci vuole per Enrica. Una bella bambola elettronica a transistor, con la lavatrice incorporata: una di quelle bambole che camminano, parlano, cantano, controllano le conversazioni telefoniche, captano le trasmissioni in stereofonia e fanno la pipì”. (Gianni Rodari, La bambola a transistor, Novelle fatte a macchina 1973 ).
Le immagini:
Cover di Ciao sono Robot, di Luca Novelli, Collana I Genietti di Valentina Edizioni
Manifesto di R.U.R: la commedia che ha dato origine alla parola “robot”
Cover di una delle prime edizioni di The Worderful Wizard of Oz, 1900
Nikola Tesla con il suo robot telecomandato
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