La peste al tempo dei social
Durante le pestilenze sono spesso nate grandi idee. Newton nel 1666 ha fatto le sue più grandi scoperte nella sua casa di campagna mentre a Londra e all’università di Cambridge infuriava la peste. Le novelle del Boccaccio sono state scritte tre secoli prima nella stessa pestifera atmosfera. Io scrivo queste mie righe -molto più modeste- mentre alcuni paesi della Lombardia sono stati sigillati come nei film sugli zombie. Il Teatro alla Scala e lo Stadio di san Siro sono stati chiusi sine die. A Milano tutte le attività sociali sono rimandate, compresi i risotti amicali a casa mia.
Ho molti amici medici e ho gran rispetto del loro lavoro, anche perché mi hanno salvato la vita almeno un paio di volte. Dò loro fiducia anche in questa occasione anche se è sempre più evidente che non è chiaro neppure ai più esperti quello che sta veramente accadendo.
Ricordo solo che dalla peste di Atene, gestita dal dottor Ippocrate, di pestilenze in Europa ne sono arrivate a centinaia. Persino il nostro augurio “salute!” fatto a chi starnuta, è nato come usanza durante la peste del 588 d.C. Il primo sintomo erano tremendi starnuti.
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Mio nonno è stato ucciso dalla Spagnola nel 1918 per la polmonite che ne era seguita. Sarebbe probabilmente sopravvissuto se ci fossero stati gli antibiotici.
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Oggi il rischio è inverso: il rischio di morte da infezioni da batteri resistenti agli antibiotici è maggiore di quello dei virus influenzali, #coronavirus compreso: 700.000 morti ogni anno. Con buona pace della Case farmaceutiche e degli strenui difensori della sola medicina allopatica.
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Oggi Giovedì 12 marzo la situazione è decisamente peggiorata. È pandemia. La zona rossa (che ora si chiama protetta) è estesa a tutta Italia. È già chiara una cosa: non tutti gli ammalati gravi potranno essere salvati. Buona fortuna.
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Alla prossima, ma non so.