Non si sono mai incontrati, almeno ufficialmente. Ma una cosa è sicura, nell’estate del 1321 erano entrambi a Venezia, Marco Polo a casa sua, come ricco e tranquillo pensionato, Dante come ambasciatore di Guido Novello da Polenta, signore di Ravenna. Venezia era una brulicante città di centomila abitanti dove si sapeva tutto di tutti. Possibile che a nessuno dei due sia scattata l’idea di incontrare l’altro? Non so voi ma a me vien facile immaginarli seduti insieme, uno davanti all’altro in una delle bettole all’ombra del campanile di San Marco, a bere appunto “un’ombra” di vino, intenti a raccontarsi storie diaboliche o straordinarie. Serio e solenne l’Alighieri, ridanciano e leggero messer Polo. Sono quasi coetanei, solo nove anni differenza: Marco è nato a Venezia nel 1254, Dante è nato a Firenze nel 1265. Ne hanno passate di tutti i colori. Il primo ha esplorato il lontano Catai e raccontato di mostri e di ricchezze milionarie, il secondo è sceso all’Inferno, ha scalato la montagna del Purgatorio e ha bussato alle porte del Paradiso. Dopo di loro il Medioevo non è più lo stesso. Eppure raramente Dante e Marco Polo sono ricordati insieme, come se facessero parte di due mondi diversi e non coincidenti.
Eccoli ora. Dante in Italia è un monumento, un mito, un simbolo nazionale. Soprattutto è onnipresente nei programmi scolastici. È il minimo per il padre della nostra lingua. Marco Polo ha uno spazio riservato nei libri di storia e ha ispirato un notevole numero di libri per ragazzi. Ma la sua lingua era il veneto e la prima stesura del Milione, scritta da Rustichello da Pisa, era in lingua d’òil, lingua allora parlata solo nel centro e nel nord della Francia. Senza il pungolo del suo editor, l’immaginifico Rustichello, Marco avrebbe scritto un manuale per mercanti.
Commedia e Milione, hanno subito un successo straordinario: dieci copie … trenta copie… cento copie…tutte scritte a mano e in un anno. Già perché la stampa è ancora lontana dall’essere inventata. Solo Marco aveva visto qualcosa di simile alla stampa, in Cina, naturalmente. Eppure, quando le copie in circolazione non raggiungono il migliaio Dante e Marco Polo sono già famosi e il contenuto della Commedia e del Milione solletica la fantasia non solo di nobili e prelati, ma anche di chi non sa leggere e mai leggerà, ovvero la stragrande maggioranza della popolazione. Dante a Verona è additato dalle popolane e dai ragazzini come ”quello dell’Inferno”. Marco Polo a Venezia è “quello del milione”.
Audiolibri del XIII secolo
Commedia e Milione erano spesso letti ad alta voce a un pubblico in gran parte analfabeta. Un sottofondo musicale di liuto o d’arpa non guastava. Il fatto che i “canti” della Divina Commedia si chiamino così la dice lunga. Tuttora la lettura dell’Inferno, tra le mura di un convento o nella corte di un antico castello fa venire i brividi nella schiena. Era questo che Dante voleva, fin da piccolo: diventare un Grande Poeta, come Virgilio, Orazio e pochi altri. Ben diversi erano i sogni di Marco ragazzino, che correva a piedi nudi sui ponti di barche che univano le isole dell’antica Venezia, quando i “campi” ospitavano orti e maiali. Voleva viaggiare, raggiungere suo padre e lo zio che non aveva mai conosciuto. La cultura che respiravano però era la stessa e non aveva alternative: era quella della Chiesa e dei suoi chierici, dei “doctor puerorum” e dei monaci francescani o domenicani. In pratica tutti i sapienti, i dotti e gli eruditi erano “chierici”.
Marco non godrà molto di questa cultura, per sua fortuna. Quando ha quindici anni suo padre torna dal suo primo viaggio e lo porta con sé nella sua seconda avventura in Cina. Dante invece farà il percorso completo: Grammatica latina, Dialettica e Retorica, Aritmetica, Geometria , Musica e Astronomia. Poi Teologia, diritto canonico, ma anche medicina e altro all’Università di Bologna. Ancora Teologia e “scienze” a Parigi, e forse demonologia e angelologia , allora materie complementari alla Sorbona. Niente di tutto questo per Marco. Per sopravvivere dovrà imparare l’arabo, il mongolo, il mandarino e gli infiniti usi e costumi cinesi e del sud est asiatico.
Un papa in comune
Per Dante l’incontro con papa Bonifacio VIII sarà una iattura. Bonifacio lo sequestra Roma, mentre a Firenze i Neri danno fuoco alla sua casa. Prenotare per Bonifacio un posto all’inferno tra i simoniaci per Dante sarà una delle sue più gustose vendette.
Per Marco l’incontro con Papa Gregorio X invece dà inizio a una grande avventura. Accade in Palestina, a San Giovani d’Acri. Il futuro papa è circondato da monaci guerrieri, si chiama ancora Teobaldo Visconti da Piacenza e consegna ai Polo un messaggio per il Grande Khan. Dante bambino vede lo stesso Gregorio X nella sua Firenze, in pompa magna, protetto da centinaia di prelati. È in occasione di un tentativo di riconciliazione tra Guelfi e Ghibellini. Sono presenti anche il Re di Sicilia Carlo I d’Angiò e l’Imperatore Baldovino di Costantinopoli. Per Dante bambino, confuso tra la folla di notabili, è il primo papa della sua vita e il primo incontro ravvicinato con i Grandi del suo tempo. Con altri papi Marco non avrà a che fare, anzi scoprirà che in Cina vivono milioni di cristiani nestoriani che non hanno mai sentito parlar dei papi di Roma.
Educazione sessuale…diversa
Secondo Maria Bellonci, il quindicenne Marco a Venezia aveva combinato un bel guaio con una sua coetanea. Solo il denaro di papà Polo aveva risolto la cosa e liberato il ragazzo dalle sue responsabilità. Poi il giovanotto nel suo viaggio cresce e, come ha sottolineato Rustichello nella sua stesura, si diverte non poco. Quando diventa ambasciatore del Khan i dignitari delle regioni visitate gli offrono le figlie, per non parlare delle cortigiane che nei vari reami sono al servizio delle pubbliche relazioni.
Per Dante è tutta un’altra storia. Il peccato di lussuria è punito con l’Inferno e bacchettate sulle mani. È un peccato facile e il diavolo lo sa. Così quando il piccolo Alighieri, a nove anni, incontra Beatrice Portinari non solo non la scorderà mai ma diventerà la sua “donna angelicata”. La poesia sarà il mezzo per sublimare il suo amore e forse il suo desiderio, fino ai massimi livelli. Fino addirittura al Paradiso. In realtà a dodici anni è già fidanzato con un’altra, Gemma Donati, scelta da suo padre. La cerimonia avviene ufficialmente e festosamente davanti al sagrato della chiesa del suo quartiere. Sarà un matrimonio combinato, come d’uso a Firenze nel suo tempo. Comunque Gemma gli darà tre o quattro figli e dovrà sorbirselo per tutta la vita.
Sulle altre donne di Dante si sa ben poco. Una certa Gentucca di Lucca deve essergli stata vicino, non è chiaro in che modo. Di sicuro l’idea di peccato non lo abbandona. Lo perseguita. Ha deboli scusanti per la povera Francesca da Rimini, moglie infelice di Giacinto Malatesta, che s’innamora del giovane cognato. Nella Divina Commedia Dante non perdona la sua trasgressione. Anzi, la punisce insieme al suo amante in modo sproporzionato. Li fa trascinare da un vento infernale, eterno e senza speranza. Credo che Marco l’avrebbe messa, se non in Paradiso, almeno nel Purgatorio.
Dante con la spada
Nel mondo di Dante e di Marco la violenza sulle persone e sulle cose è cosa di tutti i giorni, soprattutto sulle donne, i poveri e i bambini. Solo nel 1288, e solo nei territori di Firenze, la servitù della gleba è abolita. I contadini fanno parte delle proprietà agricole e con queste vengono comprati e venduti insieme agli asini e ai cavalli. È un mondo dove è facile perdere la vita in modo violento e terribile. Dante stesso è condannato dalla sua città “ad essere bruciato affinché muoia”. La condanna non è mai stata revocata. Anche la vita di Marco è sempre sul filo del rasoio. Accanto a lui cadono continuamente teste nobili e meno nobili. Il Khan non scherza con chi sospetta di tradimento o troppa curiosità.
Dante è in prima fila a Campaldino nel 1289, quando la cavalleria ghibellina irrompe al centro dello schieramento guelfo. Come molti suoi compagni è disarcionato e la battaglia procede con spade e mazze, sotto una pioggia di frecce lanciate dai balestrieri. Sangue e urla dappertutto. È difficile immaginare Dante Alighieri, raffigurato sempre come un pacifico poeta con una lunga tonaca rosea, armato di elmo, scudo e spada, mentre mena furiosi colpi a destra e a manca. Ma ha dovuto fare anche questo, per non rimanere sgozzato sul campo come è accaduto a trecento compagni guelfi e a mille e settecento ghibellini.
Anche le malattie uccidono in massa, più che altro per mancanza di rimedi seri. Marco da ragazzino rimane bloccato nel Pamir con tosse e febbre per più di un anno. Padre e zio lo danno per spacciato, ma poi si riprende. Morirà nei suo letto di casa, assistito amorevolmente dalle tre figlie, a settanta anni di età.
Dante lo precede, muore dopo la missione a Venezia. È ucciso dalla malaria, come l’amico Guido Cavalcanti, a soli cinquantasei anni.
Effetti collaterali
La straordinaria eredità lasciata da Dante e Marco Polo è arrivata fino a noi moltiplicata per mille e possiamo apprezzarne l’importanza più dei loro contemporanei. A Dante non dobbiamo solo la sua opera-monumento e un potente affresco della cultura medioevale, a Dante dobbiamo la nostra lingua parlata e scritta. L’ha teorizzata, inventata e fondata. Non è poco. Ma a lui dobbiamo, dopo anni oscuri, anche il primo tentativo di dar ordine alle cose, non solo a peccati, gironi, bolge, rose celestiali e quant’altro, ma alle scienze del suo tempo, nascoste –e neanche tanto- tra un canto e l’altro.
Il giovane Galileo Galilei, nel 1587, basandosi sulla Divina Commedia, calcolerà la profondità dell’Inferno e quindi il raggio della Terra: 3245 miglia. È poco lontano dalle 3440 miglia nautiche della misura attuale!
Per Dante l’universo ha per centro Terra, ma quando sale in Paradiso e supera i nove cieli è abbagliato da un punto luminoso che contiene… tutto. È Dio naturalmente, ma questo “tutto” è anche una figura matematica chiamata ipersfera, un modello di universo che sarebbe piaciuta anche ad Albert Einstein e Stephen Hawking.
Marco Polo a sua volta ha allargato a dismisura il mondo allora conosciuto, aggiungendo una miriade di popoli e paesi a oriente di Gerusalemme. Ha aggiornato la geografia del mondo, cambiato le carte nautiche e le “portolane” che usavano i naviganti di allora. Ha fatto sognare imperatori e mercanti. Ha stimolato i viaggi che porteranno alla scoperta delle Americhe, compreso quello di Cristoforo Colombo. A entrambi dobbiamo il nostro mondo. Hanno avuto due vite parallele convergenti su una cosa: hanno cercato conoscenza e verità, sofferto e pagato le loro esperienze sulla loro pelle. Sono vissuti 700 anni fa, ma sono vicini ai giovani ricercatori del nostro mondo più di tanti chierici di ieri e di oggi.
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